Strategie Social: la Top 5 del 2015

Dobbiamo essere presenti su Facebook, dobbiamo essere presenti su Twitter“. E’ questa la richiesta che le aziende avanzano alle agenzie di comunicazione. Si tratta però di una richiesta generica, che non rende onore alla complessità dei social media e delle dinamiche che mettono in gioco. Tutti i social network, infatti, appaiono come strumenti semplici. Ma è un pò come nel calcio: quando le regole sono poche, le strategie adottabili – e quindi efficaci – sono numerose. Fermo restando che l’obiettivo è sempre uno – sembra che lo abbiano capito anche i committenti: coinvolgere il pubblico, fidelizzarlo attraverso una relazione, infine utilizzarlo per allargare, in maniera indiretta ed efficace, la base d’utenza. Nel 2015 alcune campagne hanno raggiunto questo scopo più in fretta e meglio di altre. Ecco una classifica esaustiva.

“Bend the rules” di Hawlett-Packard

La strategia si è rivelata semplice ma comunque molto efficace. L’azienda ha lanciato una sfida al suo target: creare dei Video su Vine che avessero come protagonista il prodotto, da pubblicare (con relativo hashtag) su tutti i social esistenti. Ebbene, la leva della creatività ha funzionato, e la creazione dei contenuti è stata veramente abbondante. Gli scopi erano due: da un lato, generare conversazioni in automatico, utilizzando gli utenti; dall’altro, ringiovanire il target: HP si è sempre contraddistinto per un pubblico sopra i 30, grazie a questa idea è riuscito a conquistare i ventenni, più incline all’esplosione – a tratti demenziale – della creatività.

“Refreshing honesty” di Honest Tea

L’idea è un po’ più complessa. Facendo un gioco di parole, l’azienda ha testato “l’onesta” degli americani, città per città (in verità solo 27). Ha installato dei gazebo, e ha dato a tutti l’opportunità di “rubare” la bevanda o donare un euro, apparentemente non visti. Le candid camera sono finite poi su tutti i social. La leva, in questo caso, è stato il campanilismo. La gente condivideva le “dimostrazioni di onestà” dei suoi concittadini, di fatto regalando visibilità al trend. Il segreto, comunque, è stato l’approccio: scherzoso, leggero, divertente. D’altronde, caricando moralmente il messaggio, si camminava su una lastra di ghiaccio davvero sottile….

Il “Banana Bunker” di Groupon

Ok, questo è un colpo basso, ma tremendamente efficace. Groupon ha pubblicizzato su Facebook un contenitore singolo per banane che ricordava un dildo. Era veramente intuire il tenore che i commenti avrebbero preso. Ebbene, si è trattata di un’esca: la pagina Fb ha colto la palla al balzo e “ha monetizzato” tutti i commenti in un richiamo alla vendita, ovviamente utilizzando lo stesso tono ambiguo e borderline. Questa strategia ha rivelato la capacità di indirizzare le conversazioni, di manipolarle senza che il pubblico se ne accorgesse, ma anche di trasformare la viralità in una leva diretta per il marketing.

Il “Dirty Talk” delle mamma americane, “Hefty Ultimate Cup”

Come pubblicizzare in modo divertente dei bicchieri di plastica? Ci ha pensato “Hefty”, creando una campagna semplice ma in grado di avvicinare il brand, giocoforza impersonale (“posata” non fa rima con “passione”), al suo pubblico. Si tratta semplicemente di una serie di video in cui alcune mamme trentenni, all’apparenza compite, sobrie ed equilibrate si lanciano in racconti sulle loro feste, passate e presenti. Il loro linguaggio è pieno di slang, a tratti scurrile. La cosa ha funzionato per vari motivi: è diventato virale per l’accostamento mamma perfetta-linguaggio scurrile; ha creato identificazione, dal momento che le mamme americane sono davvero così; ha avvicinato un pubblico giovane proprio in virtù dello slang, tipico della generazione millennial.

“Tweet to eat” di Domino’s Pizza

Come ormai risulta ovvio anche ai non addetti ai lavori, il segreto per una buona campagna è trovare una chiave di lettura al di fuori del mondo online, e utilizzare in un contesto social. Lo ha fatto benissimo “Domino’s Pizza”, catena internazionale di pizzerie, che ha reinterpretato un atto semplice come le ordinazioni. Lo ha trasformato da azione “privata”, ad azione “pubblica”, e quindi in grado di dare visibilità al marchio. Ha creato un account specifico per le ordinazioni e un sistema di emoticon che ritraesse le pizze presenti nel menù. Ecco che ai clienti bastava semplicemente postare queste emoticon e gli estremi (di domicilio e pagamento) per vedersi recapitare la pizza a casa. Il pubblico ha risposto bene, dal momento che è sempre molto attratto dalle novità. Domino’s Pizza quindi ha goduto di una immissione di contenuti clamorosa, interamente a cura degli utenti.